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INTERVISTA DI VITTORIA BIASI A GIORGIO DE FINIS, DIRETTORE ARTISTICO MUSEO DELLE PERIFERIE – ROMA

V.B. Il tuo progetto Macro Asilo cessa, per volontà superiori, il 31 dicembre del 2019. L’idea dell’arte nella vita, nella partecipazione del pubblico coinvolto in un procedimento di conoscenza, di formazione, di dialogo tra artisti nazionali, internazionali è stato forse un progetto temerario per il sistema tradizionale dell’arte?

G.d.F. Macro Asilo è stato un progetto che in qualche modo ha mostrato il re nudo, ha rifiutato un sistema dell’arte autoreferenziale (pre)occupato a diserbare per arginare il fenomeno dell’arte espansa in favore di un brulicante eco-sistema dell’arte, fatto di querce e funghetti, che appariva in tutta la sua vitalità (invece di sparire) con l’apertura delle porte del museo a tutti gli artisti invitati per autocandidatura (evidenziando che spetta all’artista autolegittimarsi e dichiarare tale quello che fa) a dare il loro contributo per costruire questo nuovo spazio del comune. In qualità di istituzione ospitante, abbiamo sospeso il giudizio e lasciato che ciascuno spettatore (emancipato, come vuole Rancière) giudicasse quello che aveva davanti agli occhi e quello che ascoltava. Abbiamo creato uno spazio “democratizzante” (una piazza, uno spazio agonistico), funzione riconosciuta al museo dalla nuova proposta di definizione formulata da ICOM internazionale a Kyoto ma rifiutata dall’Italia… tutte queste cose hanno fatto percepire come “pericoloso” il Macro Asilo, che ha subito, devo dire,  non solo il fuoco dei suoi oppositori (interessati a mantenere lo status quo, si trattasse di potere o economie) ma anche un fuoco amico, non ultimo quello degli artisti relazionali, che – con mia grande sorpresa – hanno temuto di perdere la loro identità in un museo relazionale dove relazionali erano, nel tempo in cui vi operavano, anche i pittori.

V.B. Ammiriamo il ready-made di Duchamp, le avanguardie, la circolazione di idee di Fluxus, dei movimenti che hanno nutrito il precedente secolo. La realizzazione di progetti ‘socialmente circolari’ come Macro Asilo e MAAM hanno disordinato le suddivisioni sociali o hanno disturbato le ideologie strutturali del mondo dell’arte? Cosa hai realmente suscitato tra gli artisti?

G.d.F. Credo che gli artisti abbiano capito benissimo cosa proponevo loro, vale a dire di fare del museo la loro casa, di prendere la parole, di incontrare il pubblico, di incontrarsi e collaborare… tutte cose di cui avevano e hanno bisogno, essendo di fatto l’ultima ruota del carro nella catena del sistema dell’arte. Il problema è che molti hanno sentito che questo nuovo gioco non li avrebbe liberati dalle condizioni, insopportabili ma ineludibili, del mondo “adulto” di fuori, e che anzi questa boccata d’aria d’utopia potesse esporli al rischio di rappresaglie e punizioni.

Considero gli artisti delle anomalie, in qualche modo la sola possibile risposta al pensiero unico; metterli insieme voleva anche dire creare un luogo che somigliasse ad una pentola in perenne ebollizione. Tutti i miei progetti (d’artista) sono rivolti agli altri artisti, prevedono, per prendere corpo, che si costituisca una coralità, parola che preferisco di gran lunga a collettivo.

Autoritratto di Cesare Pietroiusti in Sala Lettura (foto Giorgio Sacher)

V.B. I miei ricordi ti vedevano vicino all’osservatorio nomade del gruppo Stalker. Prima e dopo vi sono state forme di aggregazione artistica che hanno avuto il valore di mettere in evidenza aspetti, peculiarità inattese, attitudini nascoste di parti di territorio strutturati in piccole comunità. Ti senti l’intellettuale attento a cogliere, ad armonizzare le diversità dei paesaggi periferici? 

G.d.F. La periferia, perché meno soggetta alle regole che le città globali si sono date (divenendo ancoraggio a terra della finanza globale), è anche il luogo dove è più facile (e al tempo stesso più urgente) sperimentare. È qui che nascono le cose più interessanti. 

Ho seguito per parecchi anni il lavoro fatto da Stalker in città, senza mai diventare uno Stalker. Anche Metropoliz, l’occupazione abitativa che dal 2012 ospita il MAAM, l’ho scoperta partecipando ad un progetto di Stalker, “Primavera romana”, tre mesi di deriva zigzagante intorno al Grande Raccordo Anulare per scoprire il nuovo fronte della città di Roma e tentare di creare una rete di tutte quelle realtà che dal basso provavano a rendere la Capitale un luogo meno ostile dove vivere. 

Museo dell’Altro e dell’Altrove di Metropoliz, città Meticcia

V.B. Potresti considerare i progetti MAAM Museo dell’Altro e dell’Altrove di Metropoliz e Macro Asilo come lo svolgimento filologico degli eventi aggreganti delle neoavanguardie che hanno costruito solidarietà, conoscenza, consapevolezza? La visita al MAAM Museo dell’Altro e dell’Altrove di Metropoliz al numero 913 della via Prenestina è l’ingresso in un mondo altro dove il concetto di preziosità dell’arte sembra possibilità espressiva della vita, dono capace di vivere e di essere rispettato e di sfidare il gioco tradizionale delle parti. Sarà possibile trasformare questo luogo utopico in una sorta di faro per il pensiero artistico?

G.d.F. Il Museo dell’Altro e dell’Altrove di Metropoliz è un museo “abitato”, un’opera totale, un assemblaggio a scala urbana, un’opera unica oltre che una collezione di opere che ha tra l’altro il compito di proteggere i duecento migranti e precari che lì vivono dallo sgombero coatto. Una barricata di oltre 600 opere che è anche una barriera corallina, come l’ha definita Pablo Echaurren. Io penso che questa esperienza non sia solo un faro per il fare artistico, che invita a tornare in relazione con l’abitare (come ai tempi delle grotte di Lascaux), con la vita, con la società. Credo che sia un modo per vedere all’opera un’altra idea di città, plurale, partecipata, giusta, auto-organizzata. 

Nicolas Bourriaud_foto di Monkeys VideoLab

V.B. Un modello di artista non autoreferenziale, a mio avviso, è il filippino David Medalla, contemporaneo al movimento Fluxus. La sua poetica si rivela nella partecipazione artistico-umana a tutto il pianeta, non esclusi gli incisori eschimesi. Il primo proposito planetario è Exploding Galaxy (1967) cui segue l’idea della London Biennale (1998) intesa come libera e indipendente partecipazione di artisti e intellettuali in una sorta di rito dell’arte, padrona della strada, dei luoghi e offrendo un ordine naturale del mondo. La visione di Medalla è come una grande chioma d’albero sull’umanità. Stalker si è in un certo senso istituzionalizzato. Il progetto del Macro Asilo ha avuto il respiro di libera adesione. E quindi come ti collochi in questa storia ancora da scrivere?

G.d.F. Questo non saprei dirlo. Da dieci anni sperimento dispositivi artistici che giocano con la parola museo, dunque con le istituzioni, con il significato che una istituzione può avere per tutti noi se la riportiamo tra noi. 

Alunno con Giorgio de Finis, Macro Asilo

V.B. Il 25 settembre 2021 hai annunciato pubblicamente la decisione di presentare la candidatura del Museo abitato all’UNESCO come patrimonio dell’umanità, e il 23 aprile 2022 si terrà una maratona musicale no-stop per festeggiare il 10° compleanno del MAAM.
Ora ti è stato dato l’incarico socialmente e umanamente importante del museo delle periferie. Come si concilieranno queste esperienze? Pensi che ci siano ancora speranze positive in questo periodo difficile per le umanità precarie e di transizione economica?

G.d.F. Il museo delle periferie ha il compito di valorizzare quello che di interessante nasce in periferia, quindi anche il MAAM che stiamo provando ancora una volta a salvare dallo sgombero. La candidatura a patrimonio immateriale dell’Unesco, la no-stop musicale per il decimo compleanno del museo (che vedrà la partecipazione di centinai di artisti), come pure il concerto di 96 voci meticce più una voce soprano che l’artista relazionale Piero Mottola porterà il Primo maggio nella cavea dell’Auditorium di Roma sono tutti progetti in qualche modo “disperati” ed eroici per difendere questa immagine che è anche una speranza, quella di poter ancora costruire un pezzetto di Luna sulla Terra.

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